sabato 25 marzo 2017

A Catania partono con i bandi. Bugie con le gambe corte e le orecchie lunghe

«Nessun accordo è stato ancora firmato e sono tuttora in corso le opportune valutazioni di fattibilità del progetto al fine di produrre una bozza di accordo condivisa e definita...», spergiuravano alla fondazione del Museo Egizio.

Sono passati appena una ventina di giorni, ma le bugie hanno mostrato le loro gambe corte. A Catania sono tornati a sbugiardarli, dimostrando di avere le idee chiare e ribadendo che l’accordo ufficiale «a inizio anno è stato firmato (...) per l’apertura di una sezione del Museo Egizio piemontese nella città etnea»
Non solo, ma hanno piena coscienza delle tempistiche e degli obiettivi: «entro la prossima settimana è previsto il bando per gli interni. (...) i lavori di ristrutturazione, e quelli che seguiranno, seguono la guida direttamente del Museo Egizio di Torino. Il cantiere dovrà essere completo entro giugno e nei sei mesi successivi sarà consegnato all’azienda che si occuperà dei lavori e che dovrà concluderli entro un semestre. La prima scadenza fissata è per ottobre, mese in cui le stanze dovranno ospitare i primi manufatti del Museo Egizio».

Poiché in Comune sia il direttore Greco che la soprintendente  Papotti hanno detto che "nessun accordo è stato ancora firmato", ci dovremmo aspettare che la fondazione e la soprintendenza smentiscano queste nuove affermazioni - che i media di Torino continuano a tacere. Perché delle due l'una: o mentono a Catania, o mentono a Torino. In questo caso dovrebbero entrambi dimettersi e il Comune dovrebbe riconsiderare profondamente il suo impegno nella fondazione.

Purtroppo, ciò che emerge chiaramente è la logica politica sottesa a tutta l'operazione, di cui i soggetti coinvolti sono gli esecutori, che consiste, come ha dichiarato Greco, nel «radicare ancora di più il museo nel territorio nazionale». In altre parole, come è gia capitato decine di altre volte, da Torino chiunque può portare via ciò che vuole, confidando sulla complicità degli amministratori locali e sull’omertà e la malafede dei mezzi di informazione.
Ora è il turno  della cultura: Torino dovrà prepararsi a perdere quanto più possibile di ciò che la rende unica, rassegnandosi a vedere disperso quanto del proprio patrimonio risulterà trasferibile e “condivisibile” (che in neolingua significa “a disposizione degli amici degli amici”). 

Alla faccia della propaganda, l'operazione scippo è stata condotta con assoluta arroganza, contro gli interessi di Torino e sopra le teste dei cittadini - che non erano nemmeno stati informati. Quando, in pochi giorni, sono state raccolte oltre 12.600 firme contro la sciagurata manovra, la fondazione ha diffidato la cittadinanza - come se le antichità raccolte e custodite con amore in oltre 250 anni fossero cosa loro e ne potessero disporre a loro gusto e piacimento. 

«Se e quando verrà formalizzato l’accordo con Catania», dicevano Christillin e Greco, prendendo apertamente in giro (?) i Torinesi e accusando il Comitato di diffondere notizie false. La soprintendente Papotti dichiarava che il percorso che doveva portare i reperti torinesi a Catania era appena «agli stadi iniziali». 

Non era vero niente, oppure a Catania si sono bevuti il cervello. Vale la regola: dite quello che volete, ché tanto andiamo avanti lo stesso?

Noi ci auguriamo che i Torinesi sappiano manifestare il coraggio che ora serve per non lasciare ancora depauperare la loro città, non dando retta a coloro che parlano a nome di interessi che non sono quelli della capitale del Piemonte.